IL TRIBUNALE Ha pronunciato la seguente ordinanza nel procedimento iscritto al n. 1324/07 r.g., pendente tra D.G.D. elettivamente domiciliato in Tivoli, piazzale delle Nazioni Unite n. 16, presso la sede legale delle CGIL, unitamente all'avv. Filippo Aiello, che lo rappresenta e difende giusta delega a margine del ricorso, ricorrente e Nuove Cartiere di Tivoli S.p.A., in persona dell'amministratore unico elettivamente domicilata in Tivoli, via Nazionale Tiburtina n. 156, presso la propria sede legale, unitamente all'avv. Gino Scartozzi, che la rappresenta e difende giusta delega a margine della memoria di costituzione resistente, Il giudice osserva: con ricorso depositato il 30 maggio 2007, D.D.G. ha esposto di essere invalido civile appartenente alla relativa categoria protetta prevista dalla legge n. 68/1999 e di essere stato avviato al lavoro presso la societa' resistente, in virtu' di richiesta nominativa formulata per un contratto di lavoro a tempo indetermirato; di essere stato assunto il 30 gennaio 2006 con un contratto a termine, avente scadenza 30 gennaio 2007 e risolto alla predetta data a seguito di comunicazione del 23 gennaio 2007; ha esposto che l'apposizione del termine non era giustificata da alcuna delle ragioni previste dall'artt del d.lgs. n. 368/2001, rilevando altresi' che la percentuale di lavoratori assunti a termine, nel periodo oggetto del predetto contratto, aveva superato la percentuale stabilita dalla contrattazione collettiva e che la societa' resistente non aveva stipulato alcuna convenzione ai sensi dell'art. 11 della legge n. 68/1999; ha quindi dedotto che il predetto rapporto di lavoro doveva intendersi a tempo indeterminato per la violazione del d.lgs. n. 368/2001, oltre che della legge n. 68/1999 e che, in particolare, erano del tutto non specificate le ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo richieste dall'art. l dello stesso d.lgs.; ha quindi concluso chiedendo di dichiarare nulla la clausola di apposizione del termine e di dichiarare l'esistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato avente decorrenza 30 gennaio 2006, con conseguente condanna della resistente a corrispondere le retribuzioni non percepite dalla data di risoluzione sino al ripristino del rapporto; si e' costituita in giudizio la resistente che, nella relativa memoria difensiva, ha dedotto di avere provveduto, tra il 2005 ed il 2006, ad una riorganizzazione aziendale sfociata nell'assunzione di sei giovani dipendenti e di avere sempre rispettato la percentuale stabilita dalla contrattazione collettiva; ha dedotto di avere rispettato la normativa prevista in materia di collocamento obbligatorio e di avere indicato le ragioni organizzative poste alla base dell'assunzione a termine; ha concluso per il rigetto del ricorso; nelle more del giudizio e' entrato in vigore l'art.21 della legge 6 agosto 2008, n. 133, conversione del d.lg. 25 giugno 2008, n. 112, il quale, all'art. 21, comma 1-bis, ha inserito, all'interno del d.lgs. n. 368/2001(attuazione della direttiva comunitaria 1999/70 in materia di contratto di lavoro a tempo determinato), l'art. 4-bis, intitolato «Disposizione transitoria concernente l'indennizzo per la violazione delle norme in materia di apposizione e di proroga del termine», il quale prevede che «Con riferimento ai soli giudizi in corso alla data di entrata in vigore della presente disposizione, e fatte salve le sentenze passate in giudicato, in caso di violazione delle disposizioni di cui agli artt. 1, 2 e 4, il datore di lavoro e' tenuto unicamente a indennizzare il prestatore di lavoro con un'indennita' di importo minimo di 2,5 ed un massimo di sei mensilita' dell'ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo ai criteri indicati nell'art. 8 della legge 15 luglio 1966, n. 604, e successive modificazioni»; in sede di note autorizzate depositate antecedentemente all'udienza del 3 dicembre 2008, la parte ricorrente ha quindi dedotto l'illegittimita' costituzionale di tale norma, per violazione di diverse disposizioni della Carta fondamentale; prima di delibare il carattere di non manifesta infondatezza della questione occorre preliminarmente valutare, in relazione al disposto dell'art.23 della legge n. 87/1953, il carattere di rilevanza della suddetta disposizione, in relazione al presente giudizio; sotto tale profilo, l'art.4-bis introdotto dalla legge n. 133/2008 prevede una disciplina relativa alla violazione, tra gli altri, dell'art. l del d.lgs. n. 368/2001, che stabilisce le ragioni legittimanti l'apposizione del termine nel contratto di lavoro a tempo determinato, contenente le disposizioni che, con particolare riferimento ai commi 1 e 2, l'odierno ricorrente assume essere state violate; d'altra parte, la nuova disciplina si riferisce ai giudizi in corso al momento della sua entrata in vigore ed e' quindi astrattamente applicabile alla presente controversia; in specifica relazione alle allegazioni ed alle produzioni documentali depositate dalle parti, il ricorrente ha dedotto l'illegittimita' dell'apposizione del termine in quanto, in sede di contratto individuale, la stessa sarebbe intervenuta mediante una motivazione assolutamente generica e non idonea a rispettare il disposto dell'art. l del d.lgs. n. 368/2001; in particolare, il contratto (doc. n. 2 del fascicolo di parte ricorrente) indica al punto n. 2 che l'assunzione a termine «si giustifica in relazione all'avvio di una fase di riorganizzazione aziendale finalizzata al ringiovanimento dell'organico»; va quindi rilevato che la nuova disciplina ha inteso abbandonare il principio di tassativita' delle causali giustificanti l'apposizione del termine, sostituendo la precedente casistica (contenuta nella legge n. 230/1962 e successive modifiche) con delle causali obiettive che lasciano comunque un ampio margine di manovra all'iniziativa imprenditoriale; peraltro, anche sotto la vigenza del nuovo regime, vi e' necessita' di apposita specificazione di tali causali, che non potra' quindi ritenersi rispettata attraverso il richiamo all'esistenza delle ragioni genericamente previste dalla norma, ma solo mediante l'esplicitazione delle effettive motivazioni che rendono necessario il ricorso alla durata predeterminata del rapporto, a propria volta finalizzata alla verifica della reale sussistenza delle richiamate causali; deve quindi rilevarsi che la clausola contenuta nel contratto individuale appare del tutto generica, recando la stessa il riferimento ad un indeterminato criterio di carattere organizzativo e come la menzione della causale del «ringiovanimento dell'organico» non sia sicuramente idonea, gia' in base ad una valutazione puramente astratta, a far desumere i presupposti tecnico-organizzativi tali da rendere effettivamente necessaria l'assunzione a termine, mancando tra l'altro qualsiasi riferimento allo specifico settore produttivo di destinazione del ricorrente; tale opzione interpretativa porta quindi a ritenere prognosticamente fondata l'argomentazione difensiva del ricorrente in ordine alla violazione dell'art. l, commi 1 e 2 del d.lgs. n. 368/2001, disposizioni a propria volta richiamate dall'art. 4-bis, introdotto dalla legge n. 133/2008; in ordine alle conseguenze di tali violazioni, sotto la vigenza del previgente regime, la piu' recente giurisprudenza di legittimita' ha ritenuto che, in caso di insussistenza delle ragioni giustificative del termine, e pur in assenza di una norma che sanzioni espressamente la mancanza delle dette ragioni, in base ai principi generali in materia di nullita' parziale del contratto e di eterointegrazione della disciplina contrattuale, nonche' alla stregua dell'interpretazione dello stesso art. i citato nel quadro delineato dalla direttiva comunitaria 1999/70/CE (recepita con il richiamato decreto), e nel sistema generale dei profili sanzionatori nel rapporto di lavoro subordinato, alla nullita' della clausola di apposizione del termine consegue l'invalidita' parziale relativa alla sola clausola e l'instaurarsi di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato (Cass. 12985/08); va sottolineato, per completezza argomentativa, che e' stata pure prospettata la tesi in base alla quale, data la mancata previsione espressa, da parte dell'art. l cit., della conversione del contratto, sarebbe applicabile il disposto dell'art. 1419 c.c., in base al quale la nullita' parziale determina la nullita' dell'intero contratto nel caso in cui i contraenti non lo avrebbero concluso senza la parte colpita da nullita', circostanza che deve peraltro essere oggetto di tempestiva allegazione, oltre che di prova, da parte del datore(tra le pronunce che hanno accolto tale tesi, Trib. Roma 27 maggio 2008, n. 9491, Trib. Roma 12 marzo 2008, n. 4805, leggibili in Massimario giur. lav., 2008, 10, pagg. 772 e segg.); nel caso di specie, la resistente non ha comunque formulato alcuna allegazione astrattamente valutabile sotto il profilo attinente alla nullita' dell'intero contratto, nulla potendosi altresi' desumere sul punto dal tenore testuale dello stesso, di modo che, anche sulla base della predetta interpretazione, non verrebbe meno la rilevanza della questione; tanto premesso, va ritenuto che la questione di legittimita' della suddetta disciplina transitoria non sia manifestamente infondata; in particolare, il legislatore ha introdotto una particolare disciplina sanzionatoria, prevedente l'applicazione di un regime indennitario mutuato dalla disciplina dettata dall'art. 8 della legge n. 604/1966, con specifico riferimento alle sole controversie riguardanti i contratti a termine pendenti alla data della sua entrata in vigore, senza alcun riferimento alla data effettiva di conclusione del contratto e di vigenza del rapporto; si tratta quindi della previsione di un trattamento differenziato sulla base, non della data di conclusione del contratto, ma solo di quella di instaurazione del contenzioso giurisdizionale; appare quindi evidente che la disposizione crea una disparita' di trattamento tra medesime situazioni di fatto, fondata unicamente su un elemento di carattere temporale, a propria volta svincolato dall'epoca di conclusione e risoluzione del rapporto di lavoro e, inoltre, differenziato rispetto a quello applicabile ai soggetti che hanno iniziato il contenzioso in data posteriore; di conseguenza, l'innovazione normativa non ha lo scopo di mutare in senso stabile la disciplina sanzionatoria prevista per la violazione della normativa sostanziale dettata in materia di apposizione del termine, ma semplicemente differenzia la disciplina di un solo gruppo di lavoratori, tra l'altro numericamente individuabili in modo esatto, che hanno un contenzioso pendente relativo a tale violazione alla data dell'entrata in vigore della legge n. 133/2008; tale disciplina appare quindi idonea a violare il disposto dell'art. 3, comma 1, della Carta fondamentale, introducendo una disparita' di trattamento in senso sfavorevole per il predetto gruppo di lavoratori, sia in relazione a coloro che hanno gia' definitivo controversie con medesimo oggetto che in relazione a coloro che le hanno instaurate successivamente alla sua entrata in vigore, che non appare sorretta da alcun criterio di ragionevolezza; la disposizione, inoltre, sembra trovarsi in contrasto con il disposto dell'art. 117, secondo comma, Cost., che nel vigente testo stabilisce che la potesta' legislativa va esercitata da Stato e regioni anche nel rispetto degli obblighi derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali, nel cui ambito va fatta rientrate la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali (richiamandosi, sul punto, le sentenze della Corte costituzionale nn. 348 e 349 del 2007, che hanno ritenuto che le disposizioni dettate dalla Convenzione, nell'interpretazione datane dalla Corte europea, costituiscano fonte integratrice dei parametri di costituzionalita' e che, qualora le stesse siano a propria volta rispettose della Costituzione italiana, la loro violazione comporta l'illegittimita' della norma interna); in particolare, l'art. 6 della Convenzione stabilisce il diritto ad un processo equo e, tra i corollari di tale principio, la Corte europea ha ritenuto che vi sia quello che impone al potere legislativo di non interferire in una controversia in corso allo scopo di influire sulla sua definizione, se non per ragioni di interesse generale che, nel caso di specie, non appaiono ravvisabili, dato il carattere assolutamente parziale dell'innovazione e la non applicabilita' alle controversie incardinate dopo la sua entrata in vigore; d'altra parte, in relazione alle medesime argomentazioni, la nuova disciplina appare anche idonea a violare l'art. 24 della Costituzione, in quanto la stessa determina una differenziazione, in ordine alla tutela sostanziale adottata per effetto dell'accertata violazione di una determinata disposizione di legge, fondata sul mero dato temporale rappresentato dall'epoca di instaurazione della lite; sulla base delle predette considerazioni, si Ritiene di sottoporre al vaglio della Corte costituzionale la legittimita' dell'art. 4-bis del d.lgs. n. 368/2001, e della relativa disciplina transitoria ivi dettata.